port-royal – Intervista

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Ci sono gruppi ed artisti che in Italia non ricevono quanto meriterebbero, anche solo in termini di spazi di “critica”.

Tra questi ci sono sicuramente i Port-Royal, il cui ultimo album Dying in time è di certo uno dei dischi più interessanti del 2009 ed infatti ha avuto meritatamente il bollino Consigliati da Miusika.

Di conseguenza non potevamo farci sfuggire l’occasione di una chiacchierata d’approfondimento. Ecco quindi questa bella intervista di Claudia Pinna al buon Attilio Bruzzone.

 

 

Miusika: Cosa significa Morire in tempo?

port-royal: Morire in tempo, ma anche a tempo!

Ma, appunto, cosa significa, in generale, “morire in/a tempo”?

Ovviamente qui non si parla affatto soltanto del drammatico evento che è la morte fisica (il termine della vita biologica), ma piuttosto si insiste sul concetto di morte come termine di qualcosa (appunto niente affatto necessariamente il termine della vita, ripetiamolo); termine di una storia d’amore, di un’esperienza lavorativa, artistica, di un periodo nella propria vita, ecc. Quindi il titolo ha chiaramente una valenza esistenziale.

Port_royal___Dying_in_time__2009_.jpgUna cosa che mi ha sempre stupito ed impaurito (essendoci passati tutti) è il vedere che la gente rimane invischiata passivamente in qualcosa che è già morto da tempo, ma da cui non riesce a liberarsi, vivendo quindi in uno stato di “morte in vita”. Quante storie vanno avanti per inerzia, magari anche per paura della solitudine, per abitudine ecc.? Oppure quanti artisti vanno avanti a creare roba scadente senza più passione né urgenza di comunicare qualcosa di significativo, riducendosi a delle squallide ombre di se stessi? Ecco, in questi casi bisogna avere il coraggio di “morire in/a tempo” (però attenzione: si può anche non “morire in/a tempo” in un altro modo; cioè non in ritardo come nei casi – la maggioranza – di cui parlo sopra, ma in anticipo: talvolta bisogna, infatti, avere la pazienza e la passione necessarie ad andare avanti nonostante le difficoltà – in una storia, in una creazione artistica, in un percorso di vita ecc. – e raggiungere l’obbiettivo per poi “morire in/a tempo” soddisfatti). Il coraggio di “morire in/a tempo” può portare, infatti, nuova linfa vitale alla vita aprendo scenari inediti e ridando un senso a ciò che giace inerme senza senso, consumato da una grigia routine che non lascia scampo. Quindi la morte si riconverte dialetticamente e circolarmente in nuova vita e in speranza. Questo è il significato del titolo del nostro ultimo album.

 

Miusika: Nel vostro blog ho letto una interessante riflessione sulla precarietà del lavoro del musicista, in una chiave per questi tempi insolita, non un lamento per l’impossibilità di potere vivere di musica ma la constatazione che la musica per essere creata ha bisogno di labilità, di insicurezze.

Voi come vivete la vostra condizione di musicisti? E come vi vedete fra dieci anni?

port-royal: Sicuramente è un po’ il sogno di tutti il fare della propria passione il proprio lavoro; quante volte lo sentiamo ripetere da più parti e a ragione?

Però, bisogna anche dire che l’arte è forse qualcosa di più e di meno di una vera e propria passione. Da qui nascono i problemi dell’arte che diventa lavoro analizzati in quel post. Ovviamente sarebbe anche bello poter, per così dire, vivere della nostra musica: ciò eviterebbe, ad esempio, di rischiare di impelagarsi in lavori grigi di pura “necessità”, che fanno apparire la vita senza senso ed alienata. Questo è verissimo, però è altrettanto vero che l’arte per poter essere tale deve essere libera.

Laddove l’arte diventa lavoro, essa rischia fatalmente di perdere la propria essenziale e spontanea libertà, scadendo a routine, a dovere, a mero riflesso del reale e anche ad opportunismo (nei casi peggiori); mentre, invece, nella sua accezione autentica e rivoluzionaria, essa deve essere sguardo rivolto al possibile e non resa di fronte al reale. Questo è il rischio cui è sottoposta ogni arte che diventi professione, anche perché forse gli stessi concetti di arte e professione sono incompatibili, dal momento che l’arte non paga ma semmai esige uno scotto da pagare, come la storia dell’arte dimostra piuttosto chiaramente…

Ovviamente, non si tratta i rifiutare ogni guadagno che provenga dalla propria attività artistica: ciò sarebbe folle e sbagliato. Si tratta piuttosto di cercare di lasciare all’arte la possibilità di “respirare” e di non essere completamente contaminata dalle logiche opposte e alienanti della produzione mercificata. Tutto qui.

Per comunicare questo pensiero a tutte le persone che ci seguono abbiamo scritto pubblicamente quel post che non è un “fare di necessità virtù”, bensì una sincera e disincantata presa di posizione di fronte ad un problema che ci tocca da molto vicino e che ci ha dato da pensare negli ultimi anni (specie riguardo alle scelte di vita).

Personalmente non ci lamentiamo della nostra condizione, per così dire, borderline, anzi pensiamo che da essa provenga la nostra forza che si riflette nella musica.

Per fortuna (o purtroppo, dipende dai punti di vista!), non essendo sottoposti alle pressioni del mercato (dal momento che non ne traiamo i benefici, per converso), non dobbiamo sottometterci alle sue logiche (che specialmente non ci tangono minimamente nell’essenziale momento compositivo): noi e le nostre etichette pubblichiamo, infatti, quello che ci piace davvero senza pensare a far stare il pezzo entro i canonici tre minuti e mezzo da radio edit, a fare il ritornello catchy e via discorrendo. In questo sta la libertà: nel non avere nulla da perdere (nel senso che non rischiamo di rimanere disoccupati, non essendo questo il nostro lavoro) e per converso (e proprio per questa ragione) nel mettersi completamente in gioco senza aver paura. Quindi se noi non viviamo della nostra musica, come abbiamo scritto in una lettera aperta, viviamo però con e per essa, cosa, a nostro avviso, ben più importante, e la labilità si trasforma quindi in continuità e in stimolo positivo ad andare avanti.

Impossibile dire come ci vediamo tra dieci anni: sarebbe già difficile poter dire come ci vediamo tra un anno! Però posso dirti che sapremo “morire a/in tempo” quando scopriremo che non abbiamo nulla da dire, e ti assicuro che saremo i primi a capirlo anche dal momento che tutto ha un’origine e una fine (che poi spesso coincidono)! Fondamentalmente, comunque, andremo avanti per la nostra strada (come abbiamo sempre fatto finora), cercando sempre e comunque di esprimere i nostri sentimenti in maniera genuina attraverso la forma estetica musicale e senza farci fermare da considerazioni esterne estranee all’arte propriamente detta.

 

Miusika: La definizione che si trova più spesso in rete è di elettro-indie e questo fa si che, se ce ne fosse bisogno, siano stati proposti i paragoni più arditi, da Burial passando per Cure e Mogwai.

Parallelamente nel vostro blog avete fatto una classifica delle vostre canzoni preferite fra i 2000-2009 e avete messo tanti tipi diversi. Ma quali sono stati i punti di riferimento quando avete iniziato e quali per questo nuovo disco?

port-royal: Sicuramente i nostri “punti di riferimento” sono stati in passato i Labradford, gli Autechre da Incunabula a EP7 (1993-1999), i Mogwai da Ten Rapid a Young Team passando per 4satin EP (1996-1997 – dopo Young Team, capolavoro, abbiamo progressivamente abbandonato questo gruppo che, stando ai dischi più recenti, è finito proprio male artisticamente) e gli Arab Strap da The Week Never Starts Round Here a Elephant Shoe (1996-1999).

Da quando abbiamo iniziato a fare musica noi, cioè dal 2000 (non a caso i dischi di questi gruppi che ci piacciono arrivano al 1999), non abbiamo più dei veri e propri punti di riferimento, pur apprezzando molti artisti a noi coevi e di genere simile e dissimile. Comunque la migliore influenza è sempre la vita stessa, al di qua e al di là di tutto il resto.

 

Miusika: Com’è nato questo rapporto privilegiato con l’est europa?

port-royal: Inizialmente dallo studio appassionato della sua storia e della sua letteratura. Ne rimasi affascinato a tal punto che decisi di intraprendere dei viaggi lì e ciò contribuì non poco ad alimentare l’amore che già in nuce palpitava per quei luoghi così vicini e così lontani e pieni di potenzialità ancora inespressa. Poi il caso (o fato, il che è alla fine lo stesso) volle che lì venissimo apprezzati particolarmente, cosicché fummo chiamati a suonarvi parecchie volte con ottimi risultati e vivendo esperienze intense e indimenticabili. Alla fine si è stabilito così il forte legame con l’Europa dell’Est (assurta a vera e propria “patria spirituale d’elezione”) che ora è sotto gli occhi di tutti e che costituisce un “marchio di fabbrica” della nostra musica nonché una grande fonte d’ispirazione.

 

Miusika: Anna Ustinova è una oscura saltatrice in alto del Kazakistan, da dove l’avete pescata tutta questa passione per dedicarle un brano, fra l’altro dalle atmosfere epiche?

port_royal_LOW_A3.jpgport-royal: Ovviamente in maniera casuale. Verso la fine di agosto 2007 tornai qualche giorno a casa dei miei genitori (prima di ripartire per la Germania, dove allora studiavo filosofia per il dottorato di ricerca) dopo un tour polacco piuttosto intenso. Non riuscendo a dormire, mi misi davanti alla televisione e non essendoci, come quasi sempre, qualcosa di decente da guardare, mi sparai i giochi olimpici (erano circa le 5 del mattino) e così conobbi, per puro caso, la sconosciuta e “misteriosa” Anna Ustinova

Mi piacque il suo viso inusuale, fuori dai soliti canoni estetici ma malinconico, così il giorno dopo, durante una session di registrazione, scrissi il pezzo conosciuto come Anna Ustinova. Venne fuori in un attimo (la melodia mi suonava in testa già – più o meno – dal momento in cui la vidi): come sempre si trattò di mettere in musica dei sentimenti e delle idee, il tutto in maniera spontanea. Tra l’altro – una piccola curiosità, forse non casuale – questo è uno dei nostri pezzi che ha conosciuto meno rielaborazioni in assoluto (di solito li rielaboriamo fino alla nausea, essendo noi dei perfezionisti perennemente insoddisfatti).

 

Miusika: Avete fatto numerosi remix fra cui alcuni per artisti molto in vista come Felix the housecat e Ladytron. Da quali occasioni sono nati?

port-royal: I nostri manager Carlo e Laura del Ja.La. management ci dissero che i gruppi summenzionati stavano preparando il singolo dei due pezzi che abbiamo remixato e che quindi cercavano dei buoni remixes da allegarvi… E noi, da parte nostra, cogliemmo al volo tale proposta, che vedemmo anche come possibilità artistica di confrontarci con musica piuttosto diversa dalla nostra. Alla fine è stata un’esperienza interessante e ne sono venuti fuori due bei remixes.

 

 

 

 

Claudia Pinna (febbraio 2010)

 

 

 

 

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