EVERYTHING EVERYTHING IN ITALIA (Marzo 2011) – Live report e intervista.

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In ritardo di qualche mese sull’uscita di Man Alive, il quartetto inglese ha effettuato una tournée promozionale europea che ha toccato anche l’Italia.

 

La data romana era condivisa con i Radio Department: il Circolo degli Artisti era pieno a metà quando il gruppo, vestito in strane tute alla DEVO, ha attaccato Qwerty Finger, e si è progressivamente riempito durante l’esibizione.

 

Un’ora di concerto impressionante, con l’intera scaletta del disco d’esordio (NASA is on your side esclusa) suonata come e meglio rispetto alla registrazione di qualche mese prima, con i musicisti che si destreggiano con sicurezza tra le complicazioni delle partiture, cambiando strumenti e posizioni sul palco con disinvoltura, e ricorrendo solo in un paio di casi necessari a sequenze e facilitazioni informatiche.

 

Un solo inedito, senza titolo, e lo stesso alternarsi di ironia e commozione, di vuoti e pieni, di esplosioni sonore e rarefazioni toccanti, con un crescendo che prevedibilmente ha portato alla chiusura con i due singoli Suffragette Suffragette e Photoshop Handsome.

 

Coinvolgenti ed esaltanti anche per chi non conosceva Man Alive, al punto da riuscire a innescare cori sul diluvio di parole tra testa e gola di Jonathan, e di far borbottare a tutti i nomi che erano venuti in mente all’ascolto del disco: Cardiacs, King Crimson, XTC.

 

2011_0323_007_.JPGNiente bis, non solo per i limiti temporali generati dall’abbinamento dei concerti, quanto proprio per la filosofia del quartetto: il repertorio comprende altri brani originali (come la bella Hiawatha Doomed nascosta nel CD) e molte cover anomale, reperibili in rete, ma al momento si preferisce concentrare il messaggio, senza diluirlo con pezzi ancora in evoluzione.

 

Un’ora di cambio del palco (i Radio Department non hanno strumentazione in comune con gli Everything Everything, un abbinamento davvero poco felice) non basta ad attenuare l’impressione lasciata dall’esibizione, e rende decisamente deludente l’attacco dei molto meno dotati svedesi.

 

Fuggiti dalla sala ormai strapiena con una certa fatica, incontriamo il quartetto inglese al bar del Circolo: Jonathan risponde a qualche domanda al volo, e Alex concorda su un ulteriore approfondimento via mail.

 

– Vi hanno già detto che ricordate i Cardiacs?

Sì, sono sicuramente tra i nomi ricorrenti… ma in realtà noi non li conosciamo, non sono una influenza cosciente. Sono un gruppo degli anni ’80, no?

 

– Beh, effettivamente il loro momento migliore è stato quando voi probabilmente eravate bambini, tra metà anni ’80 e primi ’90: ma voi sembrate davvero giovanissimi…

Grazie del complimento! In realtà siamo tutti intorno ai 26 anni, e perciò sembriamo anzi abbastanza vecchi, rispetto a tutti quei ragazzini che suonano nei gruppi mentre ancora vanno alle scuole superiori… Detto questo, probabilmente la nostra età e le esperienze fatte ci sono state utili nel destreggiarci nel campo minato dell’industria musicale.

 

– Per gli ascoltatori meno giovani di voi, la vostra musica echeggia molti gruppi di qualche anno fa: Cardiacs, Punishment of Luxury, King Crimson, XTC, Peter Gabriel… C’è qualcuno di loro che inserireste tra i vostri riferimenti?

Non direttamente… Molti ci dicono che sentono XTC e King Crimson nelle nostre canzoni, ma non si tratta di vere influenze, credo che semmai arriviamo al concetto di musica pop da un’angolazione simile, e questo si traduce in risultati simili. Sicuramente condividiamo l’approccio, l’etica di alcune di queste band rispetto a ciò che la musica pop dovrebbe essere.

 

– La vostra musica è un caleidoscopio di elementi di progressive e new wave, melodie e armonie pop, strani groove dance: come definireste il vostro stile?

Speriamo che suoni eccitante, eccentrico e fresco. Stiamo solo cercando di fare la musica che ci piacerebbe ascoltare, e pensiamo che suoni interessante. Oggi ci sono tante band scialbe e derivative, e noi volevamo invece far parte di un gruppo che suonasse ambizioso, che guardasse in avanti invece di copiare. Ci piace molto prenderci dei rischi, camminare sul confine tra il pop orecchiabile e dance e le cose più strane…

 

– Che tipo di processo di prova e di scrittura è necessario a creare e a riprodurre perfettamente dal vivo una “pop music” così complessa?

2011_0323_008_.JPGNon credo che la abbiamo mai davvero suonata perfettamente, il che è una delle ragioni per cui per noi fare concerti è ancora una sfida così eccitante! Proviamo il più possibile, ma non vogliamo farlo così tanto da renderci troppo sicuri e tranquilli quando suoniamo dal vivo.

Meglio lasciare un margine di pericolo, secondo noi.

 

– E la scrittura?

Molte delle parti meno ovvie che suoniamo nascono dal fatto che Jon scrive le canzoni ricorrendo spesso al computer, utilizzando programmi che permettono stranezze ritmiche e un’infinità di variazioni difficili da provare direttamente, ma che poi suonando riusciamo a far nostre. 

 

– Alcuni dei vostri testi sono davvero difficili da tradurre e da comprendere per chi non sia madre lingua inglese…

I testi sono tutti di Jonathan. Credo che per le parole, come per la musica, lui sia riuscito a trovare una sua cifra originale. Spesso i testi sono difficili da capire anche per un inglese, perché sono molto ambigui e ricchi di immagini e significati. Suoniamo alcune canzoni da anni, eppure mi capita ancora di scoprirci dentro qualcosa che non avevo visto o compreso.

 

– Voi non siete esattamente una “mainstream band”: è stato difficile per voi lavorare a Man Alive con una major?

Nient’affatto, credo che abbia funzionato benissimo per noi! Molti gruppi considerano le major come se fossero tutte uguali, il che per la nostra esperienza è un po’ sciocco. Abbiamo lavorato benissimo con la Geffen, e il loro team è stato fantastico. Una etichetta è fondamentalmente un gruppo di persone, sicché se tutti sono d’accordo su come produrre e distribuire un album, allora l’esperienza sarà positiva, che si tratti di una major o di una casa indipendente.

 

– Anche l’aspetto visuale della musica sembra integrato nel vostro stile: video, copertine, persino le divise che usate dal vivo… 

Jon all’università ha studiato cinematografia, quindi per lui è stato naturale occuparsi dei nostri primi video, prima che firmassimo per la Geffen… e anche dopo!

La copertina è collegata all’immagine della volpe citata in Tin (The Manhole), mentre le divise che usiamo dal vivo sono ispirate da… hmmm… non sono sicuro, ma credo che dietro ci sia il desiderio di avere un’immagine coerente da “gruppo in concerto”, senza doversi preoccupare di come vestirsi ogni sera! Volevamo sembrare dei lavoratori con una divisa adatta a svolgere un compito molto, molto specialistico… anche se assolutamente non specificato.

 

Domenico Di Giorgio (2011)

 

© Domenico di Giorgio in esclusiva per Miusika.net

 

 

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