Lo Stato sociale – Live & photo report, Torino 30.03.2012

All’entrata delle Officine corsare  a Torino, un amico mi dice che loro sono diversi da tutta questa musica che gira attorno in questo momento. “Almeno sono allegri”. Be sì, anche i Cani no? E poi Dente non è che è  triste, è un malinconico romanticone. Però quando entro nel locale e mi vedo questi 5 fuori di testa di Bologna penso che abbia ragione lui. Lo Stato sociale è un progetto che su disco sembra decisamente più spocchioso e anche meno interessante di quanto non si riveli dal vivo. Nel disco  Turisti della democrazia c’è tanta elettronica da cameretta e dei  testi  iperrealisti che ti fanno pensare che sappiano tutto loro. Questa attitudine a nominare col proprio nome tutto ciò di cui si parla (“ma ti piacciono o non ti piacciono i miei pantaloni? – li ho comprati da – li ho comprati da zara – me li ha regalati il mio ex” da Quello che le donne dicono) e che li accomuna ad altri fenomeni di questi ultimi mesi come I Cani o anche, in modo diverso,  Maria Antonietta, mi fa venire in mente il preside del film La scuola che ad uno sconsolato Silvio Orlando che provava ancora ad elevare la realtà, spesso avvilente, di una scuola allo sbando, e le vite dei ragazzi più alluvionati a romantiche esistenze, rispondeva saccentemente  “Non facciamo poesia, professore”.Forse dopo tanto romanticismo, le parole auliche e letterarie dei cantautori (per certi versi è in atto un vero e proprio abbattimento degli eroi,  tipo statue di Lenin buttate giù a mazzate, con le canzoni di gente come De Gregori e Guccini), l’amore-cuore della musica pop e il tunz tunz della dance made in Italy, la gente ha bisogno di essere trattata come merita. Le radici nella  sfacciataggine della musica hip hop con un senso dell’umorismo meno trucido, nutrono  un elettro-indie che si propone  con una notevole pratica onanistica (i riferimenti di pezzi come Hipsteria dei Cani e Sono così indie dello Stato Sociale parlano da sé). Cosa serve al pubblico di concerti come questo? DI farsi raccontare senza retorica, di farsi prendere in giro, di farsi sbattere in faccia le cose come stanno e di ridere tanto.Così, disimpegno impegnato. Riferimenti a Carlo Giuliani e a Federico Aldrovandi, le ferite di quelli che si sono beccati di essere giovani dal 2000 ad oggi, e all’ossessione per le scatole dell’Ikea. Sul palco i  5 dello Stato sociale, con tastiere, basso e chitarra hanno dei suoni a metà fra i primi Offlaga Disco pax e gli Amari però più casalinghi e l’atmosfera è di festa totale fra amici.  Gente che non è mai cresciuta un po’ perché non ne ha la possibilità e un po’ perché è tanto scomodo. Eccoci qua, tutti a dire che odiamo il capitalismo.Anche se alla lunga alcuni pezzi mostrano la corda e annoiano (Vado al mare) e alcuni sembrano sgangherate canzoni improvvisate fra amici (L’amore ai tempi dell’Ikea) e Mi sono rotto il cazzo resta il pezzo migliore,  in generale tutto ha un senso.

Grazie a un pubblico entusiasta, scattano le cover (c’è anche Beirut) e un bellissimo balletto di gruppo stile macarena su Quello che le donne dicono (che cita ritmica di A far l’amore comincia tu di Raffaella Carrà). Cosa ci sarà dietro? Aspettiamo gli sviluppi. La speranza è l’ultima a morire, maledetta stronza.

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