COPELAND – You are my sunshine (2008) kindertime 4

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Di storie come quella dei Copeland è pieno l’indie americano, tanto che già nel 1994 Steve Albini aveva dedicato alla casistica un articolo ancora attuale (The problem with music, uscito su Maximum Rock’n’Roll e ancora disponibile e discusso in rete); gli esordi su una label minore, il successo nelle classifiche alternative, il contratto capestro con la major sfruttatrice, le accuse di tradimento e i problemi coi produttori, fino al ritorno a casa poveri come prima, lo scioglimento reso inevitabile dalle tensioni subite.

 

Per il quartetto di Aaron Marsh la storia è stata anche più beffarda, dato che il disco con la Columbia non uscì mai per questa major, a dispetto del contratto firmato; ma l’esplosione seguita alla rescissione dell’accordo fu quantomeno gloriosa, dato che permise la produzione di un capolavoro del pop, malinconico forse anche più di quanto non fosse nelle intenzioni, con tristezze e stress per il destino della band che si sommano e si sovrappongono a struggimenti e nostalgie di testi e melodie già scritte.

 

I Copeland scrivono (scrivevano) canzoni idealmente piazzate in un punto preciso della storia di tutti quanti; la confusione estatica dell’inizio dell’amore, o il dolore della sua fine attesa o sopraggiunta. You are my sunshine è tutto questo, ripetuto su 11 registri differenti ma in sintonia tra loro. L’attesa frustrata di fianco al telefono, tante volte lei dovesse tornare (Should you return), la stanchezza del dover essere quello che traina il rapporto e sorride (Not allowed), la speranza della pace nell’abbandono alla storia (On the safest ledge); le canzoni sono sempre toccanti, bloccate nell’attimo prima delle lacrime, che siano di gioia o di dolore, senza risultare lamentose o ripetitive.

 

Un disco personale, con pochi riferimenti, grazie anche alla voce particolare di Aaron Marsh e agli arrangiamenti straniati, a volte caldi e pianistici e a volte particolarmente freddi e sintetici, in contrasto con la scrittura sempre fluida e partecipata.

Le definizioni correnti (emo, slowcore) non rendono merito al gruppo; l’attitudine è quella di  J. Robbins e dei Jawbox, anche se i suoni e il piglio non sono quelli del punk di Washington, ma quelli della canzone, più classica che indie.

 

Un disco di pop emozionato ed emozionante, uscito quando purtroppo la critica alternativa aveva ormai dimenticato (o rimosso) il complesso di Lakeland, con conseguente rarefazione delle recensioni anche sulla stampa di settore, a dispetto della qualità dell’opera e dell’impegno profuso nella realizzazione di musica e confezione; l’edizione “speciale”, caldamente consigliata, accoppia al disco un DVD che rappresenta la versione visuale dell’album, una serie di cortometraggi realizzati con taglio cinematografico per fare da “video promozionale” a ciascuna delle canzoni.

                                                                                                            

 

Domenico Di Giorgio (2012)

 

 

Tracklist:

  1. Should You Return  
  2. The Grey Man  
  3. Chin Up  
  4. Good Morning Fire Eater  
  5. To Be Happy Now  
  6. The Day I Lost My Voice (The Suitcase Song)  
  7. On the Safest Ledge  
  8. Not Allowed  
  9. Strange and Unprepared  
  10. What Do I Know?  
  11. Not So Tough Found Out.

 

KINDERTIME

 

La cioccolata migliore va fatta sciogliere lentamente in bocca, dicono, perché il sapore arriva dopo un po’, per rimanere a lungo.

Viceversa, la cioccolata per bambini è carica di burro di cacao e zucchero, che fanno arrivare un lampo di sapore alle papille, intenso e labile.

Oggi esce troppa roba, e spesso non c’è modo di sentire due volte un disco prima di decidere se e come recensirlo: di conseguenza, i “dischi-Kinder” possono avere più spazio di quelli che cercano il retrogusto, ascoltati senza l’attenzione e il tempo che permetterebbero di evidenziarne i pregi.

I dischi segnalati qui potrebbero non essere davvero capolavori come credo io, ma sicuramente avrebbero meritato miglior sorte. (DDG)

 

 

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