Bob Dylan – Live report @ MandelaForum (Firenze 18/04/2009)

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Se Dylan non fosse Dylan, ‘Like a Rolling Stone‘ sarebbe solo uno dei tanti ritornelli epici cantati a squarciagola dal pubblico adorante.
Uno in una cavalcata, trionfale sì, ma che sarebbe solo retorica e in fondo inutile. Ma Dylan non è così, anzi sorride e sembra quasi che voglia farci intendere che sì, lui può ma non vuole.

Con Dylan è difficile, se non impossibile, semplificare e ricondurre in una cornice usuale il suo personaggio e la sua musica. Da sempre sfugge alle celebrazioni, rimescola continuamente le carte, reinventa le canzoni ad ogni spettacolo rendendole spesso irriconoscibili.

La serata di Firenze non fa eccezione.

Si materializza col sua band sul palco poco dopo le 21 e si sistema sulla destra, all’Hammond (che suonerà, oltre all’armonica, per tutta la serata tranne una breve escursione alla chitarra per ‘Man in the long black coat‘) e si lancia in “Maggie’s farm” e di seguito “Mr. Tambourine Man“, ovvero due chicche che lasciano intendere che la scaletta sarà di quelle lussuose.

La band è impeccabile, fin dai vestiti. Non toglie gli occhi di dosso dal suo imprevedibile leader, ma non sbaglia un colpo specie nei blues tirati alla ‘Highway 61‘. Ed è proprio nei blues che il Dylan degli anni duemila si esprime al meglio, la musica che meglio si adatta alla sua comunicazione scarna e senza trucchi, all’estemporanea invenzione per la gioia del pubblico.

Pubblico che, nella sua particolarità, si merita due parole: un inaspettato mix di sedicenni che lo adorano per gli album degli ultimi anni, di appassionati di musica venuti per vedere la leggenda dal vivo, di fans che lo seguono da anni attraverso tutte le sue mutazioni. Mi avessero detto che un ragazzo nato nei tardi anni ’80 si era visto due concerti, su tre in Italia, di Dylan in una settimana non ci avrei creduto.

Mi riservo di tornare sull’argomento Bob, se non altro perché adoro il suo show radiofonico (‘Theme time radio hour‘) e perché tra pochi giorni esce il suo nuovo disco (che lui ovviamente e contrariamente a qualsiasi legge, scritta o meno, del music business ha completamente ignorato) ma soprattutto perché è uno dei pochi che si è mantenuto lucido nell’invecchiare (insieme forse a Neil Young che, tra parentesi, lo scorso anno fece un’altro concerto incredibile nello stesso Mandela Forum).

Uno dei pochi, dicevo, che dell’invecchiare ha fatto una risorsa creativa invece che una rendita.

Il concerto del 18 aprile ne è stata la prova, sarà stato l’ennesimo spettacolo per lui che è in un tour infinito da trent’anni, ma per noi è stata una serata indimenticabile.

 

 

 

 

Andrea Barsanti (aprile 2009)

 

 

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