FIELD MUSIC – Field Music (Measure) (2010)

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Costringono allo slalom i Field Music, tra paletti fatti degli inevitabili riferimenti stilistici che la pantagruelica pietanza di “Measure” imporrebbe.

Con gli sci non vado tanto d’accordo ma i Field Music sono bravi e vale la pena tentare l’aggiramento dell’esercizio scientifico in musica che gli viene attribuito .

Non si arriva per caso a concepire un disco di sicuro spessore come Measure (che fra parentesi è il loro terzo e non il sesto come potrebbe sembrare), non se non si possiedono background, capacità di scrittura che associa ingegno a versatilità e gusto nelle scelte.

Il lavoro va preso nella sua globalità e sono talmente tanti i motivi di interesse a vari livelli e che ascolti ripetuti rivelano che, ad un certo punto, la durata diventa se non trascurabile almeno secondaria. Forse il primo dei due dischi può vantare una personalità più marcata e meno esposta così come a tratti è avvertibile una patina di planning ma sono contro indicazioni che non inficiamo il risultato complessivo.

Se il formato di altri tempi di quest’ultima fatica va letto, oltre che come momento di contro-cultura, anche alla luce del momento creativo notevole non banalizzato né costretto del solito dischetto, meno scontato è l’avvicinamento ad un approccio che in più di un’occasione gira attorno all’idea di lasciare volutamente irrisolte alcune soluzioni melodiche e, nei momenti di più breve durata di concepire (non) ultimati dei veri e propri bozzetti come risulta evidente nella seconda parte del lavoro.

Gli autori dicono, a proposito del processo creativo di Measure, di non essere partiti dagli accordi (ma ne usano alcuni notevoli, come pure notevoli sono certi collegamenti) ma dallo spunto melodico vero leader della narrazione.

Una via impervia ma foriera di ottimi risultati e che può essere letta come alternativa al formato Pop canonico quando, smessi i panni dei novelli Xtc (inevitabile citarli ed ecco la prima inforcata), i Field Music approcciano con l’obliquità straniante dell’iniziale “Mirror”, aroma nettamente wave che nasce da una frase di quattro note su un ribattuto di seconda minore tenuto prudentemente in sottofondo fino alla fine. Copia ideale che non troverà nessun epigono attestando da subito che il viaggio è lungo ma dalle tappe suggestive e dalle soste rigeneranti non importa quando e se all’imbrunire. Ed il primo villaggio festante è quello disarmante di “Them that do nothing”, strofa folk styled, jingle jangle e clapping contagiosi seguiti da grande apertura melodica. Il primo titolo però ad ammantarsi del titolo di capolavoro è la title track praticamente perfetta per struttura ed arrangiamento (coraggiose ed intelligenti la scelta di associare archi, chitarre e tamburi e di lasciar correre la frase di basso poco prima del finale). Il sole comincia a scaldare quando è il momento di “Effortlessly” canonica fino a metà del guado quando la corrente va domata fermandosi e guardandosi attorno, c’è pericolo? No è tutto a posto! Intanto è successo qualcosa. Aumenta la voglia di proseguire ed è con “Clear water” che i Field Music si inerpicano su un passo tortuoso non privo di difficoltà e a sottolinearlo ci sono elettricità anfetaminica e tamburi robusti prima dell’ottima risoluzione comunque non semplicissima. Ottimo il lavoro delle chitarre apprezzabile maggiormente in cuffia. Ci provano i Field Music, nulla da dire su questa prima parte di lavoro, provare per credere la grandiosità di “Lights up” altro spunto melodico notevole che meriterebbe più articolate considerazioni ma è il caso di far lavorare le orecchie, non credete? Lo slow time che contraddistingue questa ma anche altre selezioni a seguire è un altro degli elementi che suggeriscono la chiara volontà da parte dei Field Music di diversificare (esemplare in tal senso è “Let’s write a book”) il più possibile a livello di atmosfere e suggestioni globalmente e, quando le idee lo permettono, all’interno del brano stesso. Prendono e si concedono anche respiri lunghi, soprattutto nella seconda parte che ha in effetti qualche momento eccessivamente espositivo ma anche affascinanti indugi come quelli di “Curves of the needle” sorta di ambient-ballad back in 1972 (seconda inforcata traditrice, il paletto lo sapete qual è no? Strofa vuol dire fuochino fuochino), i piccoli bocconi di purissimo zucchero filato (speziato indiano però) di “Choosing numbers”, la fissità solo apparente di “Precious plans”, altro gioiellino che vanta preziosi intarsi Kirby-iani (terza e speriamo ultima inforcata promesso), il brevissimo momento crepuscolare di “See you later”. E’ sera quando “Something familiar” (please ascoltare le scelte armoniche sui versi della strofa immediatamente precedenti il chorus) annuncia la fine del viaggio esaltante dei Field Music.

Anche il sottoscritto arriva al traguardo con solo tre inforcate.

E’ il momento della cena e della convivialità, finalmente possiamo festeggiare la nascita di Pantagruele.

 

 

 

 

Anto (ottobre 2010)

 

 

 

 

Tracklist:

1. In The Mirror

2. Them That Do Nothing

3. Each Time is a New Time

4. Measure

5. Effortlessly

6. Clear Water

7. Lights Up

8. All You’d Ever Need to Say

9. Let’s Write a Book

10. You and I 3:15

11. The Rest is Noise

12. Curves of the Needle

13. Choosing Numbers

14. The Wheels are in Place

15. First Come the Wish

16. Precious Plans

17. See You Later

18. Something Familiar

19. Share the Words

20. It’s About Time

 

 

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