MARK EITZEL – Caught in a trap and I can’t back out ‘cause I love you too much, baby (1998)

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1 Marzo 1998: il concerto milanese tenuto ieri sera da Mark Eitzel al Tunnel di Milano e l’uscita del suo nuovo disco dal chilometrico titolo (di Elvisiana memoria) mi sembrano un buon motivo per scrivere qualcosa con e su Mark Eitzel.

No, non si tratta di un’intervista, ma di un ipotetica conversazione notturna in compagnia della sua musica.

A onor del vero non è che si sia trattato di un grande live act : un’ora appena davanti a pochi spettatori con un Eitzel un po svogliato a controllare ogni tanto l’orologio ed alle prese con accordature aperte un po ridondanti ed invadenti. E però la sua voce, meno pulita ma per questo più vera e affascinante, quando canta quelle due o tre cosette del repertorio degli American Music Club beh è difficile resistergli.

Trovo che Eitzel, quando si apre un po di più, riesca laddove Waits era riuscito benissimo nei suoi dischi degli anni ’70 e cioè a farti trovare l’illusione nella disillusione, la gioia nella disperazione, la speranza e la leggerezza in uno sguardo lontano. Parliamo di background, tempi e stili diversi ovviamente, prendete l’accostamento semplicemente come un invitation to the blues…

Accanto al repertorio degli American Music Club [citiamo per gli sfortunati assenti in ordine sparso: Firefly, Western Sky, Blue and grey shirt (solo una strofa e un ritornello ahimè…), The other part of you e I’ve been a mess], Eitzel ha proposto diverse cose dal nuovo album mentre a sorpresa è rimasto del tutto fuori “West” quasi a testimonianza della sensazione, avuta lo scorso mese di maggio, del maggior peso specifico di Peter Buck nella realizzazione di quel disco.

Con “Caught in a trap and I can’t back out ‘cause I love you too much, baby” Eitzel sbarazza il tavolo e lo abbraccia a mani piene, riappropriandosi di un certo modus operandi spezzando così la dimensione “nuova” inaugurata dai due precedenti dischi qui certamente non assecondata.

Il maggior ricorso all’acustica, l’incisione per la Matador ed una cifra stilistica minimalista sono quindi elementi da tenere nella debita considerazione se si vuole avere un primo quadro di riferimento. I primi ascolti però non sono stati particolarmente coinvolgenti ed anzi anche un filino difficoltosi: ermetico, asciutto, triste da morire a tratti come lo erano stati a suo tempo “United Kingdom” (soprattutto) e “Everclear”, quasi che per percepire e giungere ad una certa familiarità si debba per forza prendere posto in sala d’aspetto. Successivi tentativi di avvicinamento notturni con lampada accesa a sinistra e pacchetto di sigarette d’ordinanza a destra hanno stemperato la ritrosia del caso ed anche se non possiamo parlare di un novello “Pink Moon” ci piace citare il testamento di Nick Drake soprattutto per la manifesta propensione all’essenzialità che pervade quasi tutto il disco.

Un’essenzialità basata sul materiale utilizzato ed è assai parco talvolta il pugno di note, neanche arpeggiate ma solo pizzicate (“Auctioneer’s Song”) in una sorta di naked album che cresce ascolto dopo ascolto e che ha una delle sue vette in “If I had a gun” sorta di “Heart and soul” sporcata da un sotterraneo lavoro di Kid Congo Powers, special minimal guest che ritroviamo anche in “Goodbye” (il momento più ermetico e slow in assoluto) ed in “Cold light of day”. Ancor più essenziali il quadretto malinconico di “Atico 18” (non ci crederete ma qui sembra di sentire Joni Mitchell) e la conclusiva “Sun smog seahorse”.

Complessivamente comunque tutti i pezzi acustici sono di pregevole fattura e si tratta solo di dedicargli il giusto tempo.

A rendere meno asciutto il percorso ci sono anche il Giovane Sonico Steve Shelley ai tamburi e James McNew (già nei Yo La Tengo) al basso nei pezzi in cui Mark lascia l’acustica. Sono pezzi praticamente dark come la già citata “Cold light of day”, “Queen of no one” e “Go away” e tuttavia non contribuiscono, a mio avviso, a render né desolata né desolante la musica di Mark Eitzel in questo suo disco dal chilometrico titolo.

In alcuni momenti è percepibile la disillusione forte di “Everclear”, l’ultimo disco underground come American Music Club, ma è un’assonanza più oggetto di birra sociale tra gli irrecuperabili che non un appunto da prendere in seria considerazione. A proposito di irrecuperabili li saluto tutti da qui in Milano Notte nel secondo giorno di marzo del 1998.

 

 

 

 

Anto (marzo 1998)

 

 

 

 

Tracklist:

1.”Are You the Trash”

2.”Xmas Lights Spin”

3.”Auctioneer’s Song”

4.”White Rosary”

5.”If I Had a Gun”

6.”Goodbye”

7.”Queen of No One”

8.”Cold Light of Day”

9.”Go Away”

10.”Atico 18″

11.”Sun Smog Seahorse”

 

 

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