THE CURE “Seventeen seconds” (1980)

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Abitava lontano dalla stazione. Ma di notte, a volte, distingueva portati dal vento i rumori delle prime manovre dei carri merci. Non era del tutto inconsapevole dei cambiamenti notturni. Protetto e rannicchiato, al sicuro mentre si faceva strada un impercettibile stato di veglia ed i micro-risvegli si insinuavano con l’intento di dare scacco alla dimensione onirica. Immagini e associazioni di immagini in un gioco di sensazioni non definibili . E accorreva il motivo di “At night“, scritta da Robert Smith per il suo secondo album con i Cure; tema la notte con i suoi sussulti animati dal protagonista di un gigantesco affresco notturno ispirato da Franz Kafka. La quieta disperazione dell’osservatore solitario, sprofondato nella notte con il gelo a impietrire il suo volto mentre ammonisce l’altra figura, quella nascosta alla vista, inconsapevole e al sicuro, nella profondità della sua abitazione.

“At night” renderebbe da sola imperdibile “Seventeen seconds” anche se la versione più intensa è in Curiosities compendio che nel 1984 accompagnava la cassetta di Concert il live che chiudeva in via ufficiale il primo periodo dei Cure. La quieta disperazione del protagonista di “At night” è, ovviamente, quella di Robert Smith e pervade tutta la narrazione di “Seventeen seconds”, secondo album dei Cure pubblicato nell’Aprile del 1980, disco da sempre e da più parti considerato interlocutorio perché in qualche maniera, non manteneva le promesse dell’esordio (senz’altro più spigliato e definito seppur nel suo minimalismo naif), cristallizzando pochi spunti in una dimensione ambientale languida e rarefatta.

Non traggano in inganno i contorni sfuocati dell’immagine della copertina (forse quelli del principiare di un bosco sfuggente dal finestrino di un auto in movimento), perché, al contrario, è manifesta la propensione al rallentamento che in varie forme porta a sfiorare la staticità.

Non prendo tempo, a me “Seventeen seconds” pur con tutti i distinguo e le indicazioni del caso, è sempre piaciuto molto anche se concordo sulla parchezza della scaletta (non proprio un portento di abbondanza ed alla fine se stringiamo ci accorgiamo che di pezzi veri e propri ce ne sono sette).

Alla stregua di “Pure” che introduceva al viatico metallico e angoscioso di “The scream” (il nervo scoperto di “Jigsaw feeling” manifesto di intenti ne costituiva il mirabile aggancio), anche “Seventeen Seconds” si apre con uno strumentale, “A reflection”, dal carattere contemplativo (solo per un attimo uno straniante effetto in sottofondo ne altera la fissità) sapientemente seguito dalla spigliatezza di “Play for Today”, con armonici in bella evidenza ed i primi rifugi melodici tipici di Smith a far capolino. Smith comincia a maturare il suo stile molto personale a vari livelli: nel canto naturalmente e nelle modalità del suono e del ruolo della chitarra (in origine le parti di “Three imaginary boys” vennero registrate con una chitarra che era poco più di uno scherzo comperato al supermercato; a partire dal 1980 cominciano ad apparire live on stage splendide Fender Jazzmaster che, a differenza delle più classiche Stratocaster, hanno un suono più sporco specie se selezionate con il magnete al manico). La produzione, praticamente a tre mani visto il coinvolgimento dello stesso Smith, di Mike Hedges e di Chris Parry, per la natura del materiale ne asseconda bene la prospettiva ed è molto misurata.

Nessun altro disco dei Cure, in seguito suonerà come questo.

Per restare ai titoli successivi sarà più rotondo, aggressivo e vicino alle casse quello di Faith“, più sporco e confuso quello di Pornography“.

Ha ovviamente avuto il suo peso, nell’economia del disco, la sostituzione di Michael Dempsey con Simon Gallup al basso e l’allargamento della formazione a quattro con l’ingresso di Matthieu Hartley alle tastiere (ai maligni che al più userebbero il termine minimale per giustificare il suo ruolo riconosciamo le attenuanti del caso, ma è nella concezione proprio del disco che il raggio di azione dei tasti bianco e neri sia giocoforza limitato). La differenza rispetto a Three imaginary boys, tuttavia, non è attribuibile solo a queste circostanze. E’ proprio l’ attitudine che cambia ed è un cambiamento che non può che portare la firma del suo leader. Barlumi di esistenzialismo erano già presenti nell’ immaginario dei tre ragazzi: citiamo come campione d’uso episodi come “10.15 sat daynight” o “Another day”, ma è con Seventeen seconds che la poetica di Robert Smith assume i caratteri che definiranno il suo stile a venire. Versi brevi che in più di un’ occasione non sono altro che istantanee di immagini, flash che si incrociano mentre il protagonista spesso si interroga di notte e le ambientazioni appaiono spoglie (una stanza con poche cose), fredde ed aleggiano mistero e lontananza. Ricorre spesso anche una figura femminile, in “M” il verso iniziale, molto bello, la omaggia di un saluto (“Hello image”) davvero seducente, in “A forest” è miraggio irraggiungibile, e insomma, siamo lontani dalla ragazza che faceva sospirare il Lennon di “Rubber soul“. La ragazza è impalpabile e sfuggente per Robert Smith.

L’ambientazione metropolitana di Three imaginary boys con le sue periferie, le luci delle grande arterie stradali e i sottopassi viene soppiantata in Seventeen seconds da un punto di osservazione defilato, collocato in un “non luogo” che nasce e muore nella dimensione onirica. Altre due ottime selezioni come “Secrets” (se posso abusare ancora un attimo della visionarietà che pervade questo momento, pare di vederle le foglie che cadono in autunno) e “In your house” (quest’ultima bellissima nella sua circolarità conclusa da una rarefatta discesa cromatica), rendono al meglio una narrazione che, anticipando di qualche mese “A means to an end”, si conclude con un ultimo colpo di cassa a chiudere la lentissima sequenza finale della title track.

Detto di “At night” non si può, in conclusione, non citare l’altro caposaldo del disco, “A forest” il simbolo di un’ intera esperienza, il totem che in centinaia di show in tutto il mondo pretenderà sempre il suo tributo. Per molti è la pietra fondante del dark o del gothic style che verrà adorata da legioni di wavers. E’ chiaramente un grandissimo pezzo, il congegno che metterà in moto la macchina è praticamente perfetto ed il solo finale, lontanissimo dal concetto di assolo normalmente inteso, è mirabile per sviluppo e sonorità.

Ho un ricordo netto della prima volta che ascoltai Seventeen seconds: il volume era molto basso e “A reflection” attraversò il salone quasi inosservata, fu “Play for today” a rompere il silenzio con quei quattro schiocchi che per un attimo pensavo potessero essere degli spari in lontananza, poi gli armonici che….. non lo sapevo, ma in quel preciso istante riuscirono nell’intento di farmi percepire le cose in modo diverso.

O era solo un brivido?

 

 

 

 

Anto (settembre 2010)

 

 

 

 

Tracklist:

1. A Reflection

2. Play For Today

3. Secrets

4. In Your House

5. Three

6. The Final Sound

7. A Forest

8. M

9. At Night

10. Seventeen Seconds

 

(L’album è stato ripubblicato in versione rimasterizzata nel 2005, corredato di un disco bonus)

 

Tracklist CD2: Rarities 1979-1980

1. I’m a Cult Hero (previously available vinyl single A-side by Cult Hero 12/79)

2. I Dig You (previously available vinyl single B-side by Cult Hero 12/79)

3. Another Journey By Train (aka 44f) (group home instrumental demo 1/80 – previously unreleased version)

4. Secrets (group home instrumental demo 1/80 – previously unreleased version)

5. Seventeen Seconds (live in Amsterdam 1/80 – previously unreleased version)

6. In Your House (live in Amsterdam 1/80 – previously available on ‘curiosity’ mc 1984)

7. Three (Seventeen Seconds alternate studio mix 2/80 – previously unreleased version)

8. I Dig You (Cult Hero live in the Marquee Club, London 3/80 – previously unreleased version)

9. I’m a Cult Hero (Cult Hero live in the Marquee Club, London 3/80 – previously unreleased version)

10. M (live in Arnhem 5/80 – previously unreleased version)

11. The Final Sound (live in France 6/80 – previously unreleased version)

12. A Reflection (live in France 6/80 – previously unreleased version)

13. Play For Today (live in France 6/80 – previously unreleased version)

14. At Night (live in France 6/80 – previously available on ‘curiosity’ mc 1984)

15. A Forest (live in France 6/80 – previously unreleased version)

 

 

 

2 Comments

  1. Enrico

    Carissimo Anto, quanti pomeriggi ad ascoltare questo capolavoro.Per chi non lo conosce ancora e volesse acquistarlo suggerisco di farlo subito, la colonna sonora dell’autunno è Seventeen seconds”.
    Enrico

  2. Mi sono espresso + volte al riguardo e lo ribadisco ancora
    Seventeen Seconds è insieme a Faith e Pornography un trittico irrinunciabile
    l’unico album dei Cure che si avvicina (ma non supera e non eguaglia) a questi tre capolavori è Disintegration
    buon autunno a tutti 😀

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